Il grido di allarme dell’ecosistema startup in emergenza covid-19 e le possibili misure urgenti per salvare l’ecosistema
Tra i vari settori duramente colpiti dall’emergenza covid-19 ve n’è uno quasi completamente dimenticato e fortemente a rischio: l’ecosistema delle startup.
Le startup communities italiane e internazionali hanno scritto e spedito una lettera ai Governi per chiedere che l’ecosistema dell’innovazione non venga abbandonato e, anzi, diventi sempre più centrale nella strategia di rilancio dell’economia e del mondo del lavoro. Tante le misure elencate nella lettera con cui queste ultime hanno inteso un rilancio basato sull’ecosistema dell’innovazione, avanzato proposte e invocato misure specifiche per garantire che le startup non debbano affrontare una crisi di liquidità, rischiando l’estinzione, a seguito del rallentamento dell’economia globale. Ma, al momento, non è stata data ancora alcuna risposta concreta.
Nel panorama nazionale molti “addetti ai lavori”, tra cui Gianni Potti (Presidente CNCT di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, Presidente di Fondazione Comunica, Co-Founder di Talent Garden Padova e componente CTS della Fondazione Saccone), hanno lanciato un grido di allarme riguardo alla sopravvivenza delle startup dovuta alla totale mancanza di misure specifiche per salvare il giovane ecosistema startup italiano dall’emergenza covid-19.
Gianmarco Carnovale (Presidente di Roma Startup, Serial tech-entrepreneur, open innovation consultant, startup and policy advisor) fa presente che: “è innegabile che le startup italiane siano sottocapitalizzate, oltre ad avere innumerevoli altri problemi, e attraversare in sottocapitalizzazione questo shock economico globale rischia di sgretolare tutta la fragile economia di settore che si è costruita in questi anni.”
Ed è proprio partendo da una interessante ed accurata analisi della situazione, e dalla successiva individuazione di possibili azioni concrete da attuare rapidamente, fatta da Gianmarco Carnovale in un suo articolo del 14 aprile pubblicato su Agenda Digitale, ho tratto spunto per queste riflessioni.
Gianmarco evidenzia come vi sia in giro un mix di sottovalutazione da parte di alcuni soggetti e di strumentalizzazione da parte di altri e come si perdano nel rumore di fondo le possibili soluzioni e proposte di chi si preoccupa, e si occupa, davvero del tema. Pone poi l’accento sul fatto che, in questo momento di emergenza, non si possa pretendere di lavorare a delle riforme di tipo strutturale che rimangono necessarie e anche più ampie di quelle che si sono lette in queste settimane, molte delle quali utili e condivisibili, ma che oggi appaiono assolutamente fuori contesto, se non inopportune, considerato il momento che stiamo vivendo e le varie urgenze che si trova ad affrontare il governo e il sistema Paese.
Sorvolando, dunque, su una serie di considerazioni e questioni, seppure interessanti, che Gianmarco pone sui “limiti culturali” dell’ecosistema italiano, sulla politica e la “filiera delle startup” (“che costituiscono un unico grande meccanismo che si inceppa e non produce startup di valore se qualcuno degli ingranaggi non funziona”) soffermiamoci, invece, sulle sue considerazioni sul perché bisogna fare in fretta e su quali potrebbero essere una serie di azioni possibili, semplici e ragionevoli (sia in termini di costo per lo Stato che di effort per chi le deve scrivere e attuare), da far rientrare nella logica dei decreti di urgenza, per salvare l’ecosistema startup in questa situazione di emergenza.
Riguardo al perché sia assolutamente urgente e opportuno salvare l’ecosistema italiano delle startup (le startup insieme alla loro filiera di abilitazione, creazione, sostegno e investimento) dalla crisi economica legata a questa pandemia, Gianmarco sottolinea, oltre all’aspetto legato alla salvaguardia dei posti di lavoro, quello, cruciale, legato alla salvaguardia della proprietà intellettuale (brevetti, ecc.) in mercati strategici. Inoltre, pone l’attenzione sull’importanza delle startup anche in prospettiva futura, evidenziando che “con le giuste misure e riforme e con un temporaneo incentivo dello Stato atto a stimolare un avvio nella giusta direzione, si può avviare un percorso che porti a decuplicare il volume di investimenti in capitale di rischio in nuove imprese in un quinquennio e a generare un indotto interno all’Italia di tre o quattro volte maggiore, e trasformare il tutto in un ciclo virtuoso che si rialimenta – come tutti gli ecosistemi startup – in dieci anni”. Infine, fa un richiamo al valore che potrebbe portare ogni singolo eventuale unicorno che dovesse nascere nel paese. A tal proposito, evidenzia che la nostra è una Nazione che, potenzialmente, non ha niente di meno (al netto dei limiti “strutturali”, di “visione” ed unità di intenti tra le varie forze del paese: politica, corpi intermedi, media, società, detentori di ricchezza, ecc., su cui si dovrà lavorare molto successivamente) rispetto ad altre che hanno favorito, e stanno favorendo, nascite di unicorni e che tutto ciò potrebbe creare le precondizioni per la nascita di una nuova grande impresa italiana leader nel mondo nel proprio settore cosa che, purtroppo, manca da anni.
Vediamo ora, di seguito, la sintesi delle cinque possibili azioni concrete suggerite da Gianmarco Carnovale, e che io condivido, da far rientrare nella logica dei decreti di urgenza per salvare l’ecosistema startup in questa situazione di emergenza:
Tempo: ritenere questi mesi, ma forse tutto l’anno, un periodo di vita “perso”, e quindi estendere una tantum, di un anno, la permanenza delle startup esistenti nel registro speciale che offre un regime agevolato. Allo stesso tempo, allungare di almeno un anno la soglia di vita dalla costituzione per accedere tutte le agevolazioni pubbliche (es: Smart & Start di Invitalia è erogabile solo a imprese con non più di cinque anni di vita, così altre misure di bandi regionali: allunghiamone eccezionalmente il limite a sei anni per il periodo 2020-21);
Credito di imposta: le startup spendono (in attività di ricerca e sviluppo) molto a lungo prima di fatturare, quindi vivono permanentemente in credito IVA, cioè rispetto ad una impresa tradizionale gettano via letteralmente il 22% di quanto spendono. Al di là di una misura stabile che ovvii a questo problema (e che magari riconosca anche un credito da ricerca e sviluppo anch’esso liquidabile periodicamente), che rimane cosa da vedere in seguito, lo Stato liquidi istantaneamente il credito IVA maturato dalle startup innovative al 31 marzo, per dare loro un minimo di ossigeno.
Debito: il fondo di garanzia per le PMI presso il MiSE è già stato rialimentato, le startup vi rientrano e sono naturalmente agevolate nella procedura per richiedere finanziamenti alle banche da questo strumento, è vero. Ma in questo momento le banche stanno impiegando questa garanzia esclusivamente per aiutare le imprese già loro clienti in crisi di liquidità, e hanno direttive interne di non dedicarsi a nuove imprese. Serve quindi l’urgente allocazione di una quota minima del fondo di garanzia riservata alle startup, altrimenti le banche lo esauriranno totalmente nel sostegno verso aziende con cui sono già esposte. Fissare una riserva minima sul fondo di garanzia per le PMI dedicata alle startup innovative non ha alcun costo ulteriore per lo Stato rispetto al recente Decreto Liquidità e potrebbe rivelarsi vitale per garantire loro l’accesso al debito, strumento subottimale ma che almeno garantirà un po’ di ossigeno per moltissime di loro.
Equity, o meglio quasi-equity, per quelle startup “davvero startup”, che sono molte di meno delle diecimila del registro ma che sono realmente la punta di lancia della futura rincorsa dell’Italia nell’economia dell’innovazione, è rimbalzato spesso negli ultimi giorni il termine “convertendo” sui post nei social, perché è trapelata una misura su cui la maggioranza sta studiando per rafforzare la patrimonializzazione delle startup scalabili, …. L’ipotesi in corso tra le forze politiche è quella di affidare al MiSE un budget per la sottoscrizione di un nuovo fondo di investimento, che potrebbe essere gestito da CDP Venture Capital (ove questa fosse disponibile a farlo, essendo un soggetto indipendente dallo Stato ma anche il migliore possibile su piazza), che funzioni secondo un modello collaudatissimo in altri paesi: un co-investimento in molte startup legato alla sottoscrizione di un investitore privato in una startup, in cui la finanza di Stato agisca a leva per aumentarne la dotazione, ma non acquisendo immediatamente la partecipazione societaria – non sarebbe un processo attuabile su un alto numero di società perché si ingolferebbe la coda di due diligence – bensì sottoscrivendo un contratto ispirato al noto (per gli operatori del settore) Simple Agreement for Future Equity (SAFE), cioè un finanziamento convertendo che non ha natura di debito e che può essere in un certo arco di tempo trasformato in altro a seconda della traiettoria della startup specifica: può diventare una partecipazione effettiva, può scaturire in una cessione o un riacquisto, o anche diventare una perdita (perché va chiarito una volta per tutte che una percentuale di startup è normale che fallisca, non esiste la certezza nell’introdurre innovazioni sul mercato, ma quando si investe in molte la perdita di alcune è compensata dal successo delle altre, secondo statistica di settore consolidata da decenni). La forma del finanziamento convertendo consentirà di poter intervenire molto velocemente nelle diverse centinaia di startup che è opportuno rafforzare, perché sono il vero vivaio da cui scaturiranno molte grandi imprese italiane dei prossimi anni, e che diversamente non sarebbero aiutabili in un processo di investimento in partecipazioni dirette che richiede settimane di due diligence in ognuna di loro. Il “come” vada implementato questo strumento, con quale proporzione della leva (potrebbe essere anche variabile a seconda si tratti di reinvestimenti o di nuovi investimenti), con che limiti minimi e massimi, può essere oggetto di discussione e confronto tra le parti in causa per arrivare ad una sintesi in pochissimo tempo. Ma la cosa inequivocabile è che questo strumento vada immediatamente messo in campo con una dotazione importante per il settore, seppur minimale nel bilancio dello Stato, nell’ordine di grandezza minimo dei 500 milioni di euro, che devono essere stanziati nel prossimo decreto economico (il cd. “Decreto Aprile”). Va fatto mutuando la forma con cui la Legge di Bilancio 2019 affidò al MiSE la disponibilità per sottoscrivere fondi che investano in imprese, eliminando però stavolta il vincolo di un co-sottoscrittore perché sia un fondo – almeno inizialmente – tutto sottoscritto dal Ministero. Legare gli interventi di questo fondo alla presenza di un coinvestitore professionale (un fondo sotto forma di SGR, SICAF o SIS, una holding quotata, ma anche una grande impresa o perfino uno o più Business Angel aggregati in club deal, visto che ne abbiamo istituito per legge un registro) che sostenga una parte del rischio mitigherà la possibilità di incappare in numerose frodi, secondo il principio di buon senso dello stare tutti sulla stessa barca condividendo rischio ed opportunità, che è comune nel venture business internazionale. Ma è importante che ci sia una soglia massima di intervento che eviti di accorgersi di un investimento non meritorio solo dopo averci impegnato troppi fondi, e questa soglia potrebbe essere fissata intorno al milione. Magari si può prevedere che l’intervento sia ripetibile, ma in tal caso facendo qualche approfondimento in più, per le startup più avanzate e grandi (dette in scaling, o scaleup). Peraltro, per il bilancio dello Stato questa somma potrebbe non pesare come “spesa”, perché a fronte dell’esborso si acquisirebbe la partecipazione di pari valore in un fondo, quindi l’uscita verrebbe compensata dall’attivo di bilancio. E solo tra molti anni si dovrebbe consuntivare se il tutto si sia tramutato in una perdita, in un pareggio o in un profitto, acquisendo i risultati del fondo “Convertendo”. Eventualmente potrebbe essere richiesto un impegno sul perimetro occupazionale al managing team delle startup come condizione per l’erogazione dell’intervento.
Incentivi, ancora all’equity ma sugli investimenti privati: anche qui, in attesa di una misura stabile legata però a dei paletti da porre, in una riforma necessaria per tracciare un migliore futuro, sarebbe molto opportuno in fase emergenziale incrementare il credito di imposta che gli investitori ottengono quando investono in startup e PMI innovative: al momento è al 30%, portarlo almeno al 50% nei limiti attuali in via emergenziale per il 2020 sarebbe sacrosanto e ridarebbe slancio a molte nuove operazioni di investimento, in un momento in cui stanno crollando.
Nota: per leggere l’articolo integrale di Gianmarco Carnovale “Startup: le cinque misure urgenti per salvare l’ecosistema” pubblicato il 14 aprile 2020 su Agenda Digitale vai al link https://www.agendadigitale.eu/startup/startup-le-5-misure-urgenti-per-salvare-lecosistema/