Reputazione e social network. Professionisti alla ricerca della verità
Se affermiamo che i social network non hanno mai ispirato molta simpatia al mondo delle professioni, non credo nessuno possa smentirci. Eppure in questo periodo di crisi Covid19 sembra ci si siano aggrappati tutti. Il web come ultimo baluardo della resistenza.
Negli ultimi anni la presenza del mondo delle professioni sui canali social, sia con profili personali dei singoli professionisti che con pagine professionali a brand dello studio sono cresciute a dismisura. I social media, così come definiti da Andreas Kaplan, professore di Marketing e Direttore Accademico dell’ESCP (École supérieure de commerce de Paris), conosciuto per il suo articolo “Users of the world, unite! The challenges and opportunities of social media” pubblicato sulla rivista economica Business Horizons, sono un gruppo di applicazioni Internet basate sui presupposti ideologici e tecnologici del Web 2.0, che consentono la creazione e lo scambio di contenuti generati dagli utenti. Oramai i canali social network sono diventati dei veri e propri canali ufficiali di comunicazione, con piani editoriali verticalizzati e differenziati per tipologia di piattaforma utilizzata. Non si può più ignorare l’importanza e l’efficacia di questi strumenti e restarne fuori. Stando ad una recente ricerca, il 70% del traffico di un sito web è generato dall’azione dei Social Network. I social, dunque, rappresentano per lo studio professionale degli strumenti di marketing e comunicazione innovativi ed efficaci, che permettono di stabilire un dialogo diretto e paritetico tra i professionisti e i suoi potenziali interlocutori, favorendo così la creazione di una brand community online. Uno studio di recente pubblicazione (Laroche, Habibi e Richard) ha dimostrato proprio come la creazione di una brand community basata sui social media abbia effetti positivi sulla relazione tra il fruitore dei servizi e la realtà professionale che li eroga.
Ma come la mettiamo con la reputazione? Facciamo chiarezza. La reputazione è data da quello che gli altri pensano di noi. Più precisamente dalla percezione dei nostri comportamenti da parte di un contesto. Questa ha sempre rappresentato uno dei valori più importanti per un professionista. La rete inghiotte tutto quello che passa e quando meno te lo aspetti, viene fuori. La comunicazione è una cosa seria. Fare l’errore di improvvisare, di affidare i canali social professionali all’ultimo arrivato, magari perché il più giovane e creativo e ha più dimestichezza con la tecnologia, è lo sbaglio più grande che si possa fare. Vi fareste mai rappresentare in una riunione pubblica di lavoro da una persona non competente? Ecco, competenza è la parola chiave. Essere competenti non vuol dire solo saper usare tecnicamente il mezzo di comunicazione. Postare su un social è oramai quasi alla portata di tutti, il problema sta nel contenuto. Bisogna dotarsi di una strategia, pianificare i contenuti, stabilire un registro comunicativo, essere efficaci nelle interazioni con l’utenza e pronti alla gestione delle relazioni che questi canali generano. Il così detto “piano editoriale social” non può essere frutto di improvvisazione, deve rientrare in un piano di comunicazione più ampio e bisogna condividerlo con tutte le componenti dello studio professionale. Obiettivi, target, contenuti, budget, sono solo alcune delle macro voci alle quali dare risposte e sulle quali il reparto marketing dovrà fare leva per impostare la giusta strategia. Se decidiamo di comunicare qualcosa, ne devono essere a conoscenza tutti, ognuno per il suo ruolo e questa decisione non può essere frutto del caso. Ma tornando al concetto di reputazione, i social hanno bisogno di verità e di coerenza. Fingersi quelli che non siamo o raccontare cose non vere è un boomerang. L’immediatezza di questi canali di comunicazione ci impone un comportamento “etico”, un vero e proprio codice che definisce i principi, adeguatezza, opportunità in riferimento ad un determinato contesto sociale e professionale. C’è, ovviamente, una grande differenza tra una pagina professionale a brand dello studio e un profilo social network personale. Il profilo dell’Avv. Mario Rossi, per fare un esempio, è una cosa ben diversa dalla pagina dello Studio Legale Rossi. Sul profilo personale ci raccontiamo come persone, se ci va, le nostre passioni le nostre amicizie personali, l’ultimo libro letto, commentiamo il risultato di una partita piuttosto condividiamo un’esperienza. Ricondividiamo dalla pagina social professionale del nostro studio un traguardo raggiunto, un articolo apparso su un media che parla di noi oppure un momento goliardico che ci racconta con i nostri colleghi di studio. La spontaneità premia e rende il profilo più vero. Ma ovviamente quello che postiamo racconterà di noi, inevitabilmente contribuirà alla formazione della nostra reputazione e, come un vaso comunicatore, influirà anche sulla reputazione dello studio per il quale lavoriamo. Se ci pensate bene non è altro che quello che succede quando viviamo nelle piazze fisiche, quando andiamo allo stadio portando nostro figlio, quando siamo ad un cocktail con amici oppure in vacanza in un villaggio turistico con il nostro partner. I nostri comportamenti raccontano di noi, è impossibile non comunicare.
Di Antonio Vitolo – Direttore Responsabile