Smart working e creatività: può funzionare il “brainstorming virtuale”?

Letteralmente “tempesta di cervelli”, il brainstorming è una delle principali attività aziendali e per molti anche una delle più piacevoli. Un momento di creatività condivisa, alla presenza del gruppo di lavoro, che pone le basi per lo sviluppo di nuove idee che possono rivelarsi vincenti e risolutive di una problematica. Il brainstorming può rivelarsi utile in tutti i settori professionali e rappresentare un momento di crescita per l’intera organizzazione, purché si svolga in modo corretto.

Ad esempio, è necessaria la presenza di un team leader, occorre individuare un problema specifico da risolvere (meglio se attraverso la formulazione di una o più domande), e un gruppo misto composto da esperti e non esperti della tematica. La multidisciplinarietà contribuisce e non poco al successo di un brainstorming. Ma tutto questo vale anche a distanza, attraverso una piattaforma di meeting digitale come quelle che abbiamo imparato ad utilizzare in questi mesi?

“L’uomo è un animale sociale” come l’ha definito Aristotele. In un contesto emotivamente e psicologicamente complesso come quello che stiamo vivendo a causa dell’emergenza del Coronavirus, la creatività di gruppo è messa a dura prova. Le regole per un brainstorming efficace valgono anche a distanza (team leader, obiettivi chiari, gruppo di lavoro misto). La “mediazione” di uno schermo, però, non potrà mai sostituire il contatto personale diretto sul lavoro, fondamentale per la piena espressione di sé e delle proprie idee. Steve Jobs ad esempio era contrario al lavoro a distanza, in quanto convinto che le idee migliori dei dipendenti provenissero dal contatto diretto con altre persone (per questo motivo aveva predisposto nella sede di Apple spazi nei quali incontrarsi e confrontarsi).

Stando a un’indagine di Bva Doxa, lo smart working piace sia ad aziende che a dipendenti: il 73% delle imprese ha introdotto lo smart working in maniera ‘massiva’ e il 90% di esse ha espresso un giudizio favorevole in termini di efficienza e gestione ottimale dell’attività lavorativa. Il 30% delle aziende attive in particolare nei settori finance, utilities e TLC ha affermato che i cambiamenti organizzativi introdotti in questo periodo saranno continuativi anche a emergenza finita. La sensazione è che lo smart working possa diventare un elemento centrale delle organizzazioni aziendali.

In un interessante articolo del Corriere della Sera a firma di Massimo Gaggi, vengono riportate le dichiarazioni di Anthony Malkin, il cui gruppo possiede l’Empire State Building: “Il modo in cui stiamo vivendo ora non è sostenibile. La città e i loro uffici torneranno a popolarsi” – afferma Malkin esprimendo un pensiero condiviso da molti esperti.

Eppure il mondo del lavoro non sarà più lo stesso dopo la pandemia. Lo testimonia la scelta di numerose aziende, soprattutto le big company del digitale, di dare l’opportunità ai propri dipendenti di proseguire con le attività in smart working per tutto il 2020. Il CEO di Twitter Jack Dorsey, ad esempio, ha annunciato che lascerà la maggior parte dei suoi uffici chiusi fino a settembre. Poi i dipendenti potranno scegliere se tornare al lavoro in sede oppure continuare da casa. Come Twitter tante realtà più piccole. Altre invece hanno individuato delle giornate in cui a turno far riposare i dipendenti stressati a causa del lavoro da remoto, condizione che non aiuta certo la creatività.

Molti uffici professionali hanno ripreso l’attività con piccoli gruppi di lavoro impegnati nel coordinare le altre risorse al lavoro da casa, un modello ibrido ancora lontano dalla situazione a cui eravamo abituati pre-crisi.

Di Giuseppe Alviggi