“Senza dati, sei solo una persona con un’opinione”.
William Edwards Deming, il padre dell’approccio lean nella gestione aziendale, fece di questo asserto il suo mantra.
Plan (pianifica), Do (fai), Check (Controlla), Act (Agisci): PDCA.
Le fasi del ciclo di Deming sono perfette se le trasliamo all’interno di una strategia di Social Media Management che, integrata in un processo di comunicazione più complesso, ci consenta di creare, misurare e, se necessario, correggere il tiro del nostro piano editoriale.
In un ambiente complesso come quello dei social, ognuno con il suo linguaggio di riferimento e le sue dinamiche di interazione, saper leggere i dati e, soprattutto, aggregarli per costruire il nostro impianto di analisi, fa la differenza.
Creare, scrivere, individuare il proprio target non basta. Siamo solo a metà del lavoro (Plan – Do). Per capire se il fiume è davvero arrivato all’oceano, dobbiamo conoscere, costruire e padroneggiare un impianto di social media monitoring efficace, che ci consenta di non dilapidare l’impegno di un intero gruppo di lavoro (Check – Act).
Ma come si costruisce la cassetta degli attrezzi?
Gli attrezzi, appunto, sono strumenti. Ci servono, anzi sono indispensabili, ma dobbiamo saperli usare.
Oggi tutti i social network offrono un cruscotto di strumenti di social media listening & monitoring tutt’altro che criptici, abbastanza facili da comprendere per un utente che abbia una buona dimestichezza con il digitale. Non serve essere il John Nash di A Beautiful Mind per comprendere quanti utenti hai raggiunto, da dove si sono connessi, se hanno visto il tuo video fino alla fine, quanti like ti hanno lasciato.
Gli insight di una pagina, seppur in continuo aggiornamento, sono infatti il frutto di una infaticabile opera di semplificazione da parte dei team di lavoro dei grandi player dell’industria social, che ci garantiscono una presentazione dei dati sempre più easy to read.
Eppure, leggere non basta. Perché se è vero come è vero che “senza i dati sei solo una persona con un’opinione”, quei dati possono dirci tutto e niente rispetto al nostro piano editoriale e alla nostra strategia dei contenuti. Rischiano di essere ciò che in letteratura anglosassone hanno felicemente ribattezzato “vanity metrics”, una sorta di “social doping” utile solo a gonfiare un piano editoriale di facciata, senza muscoli e senza sostanza.
Leggere non basta, quindi, bisogna saper aggregare.
E aggregare vuol dire sviluppare la capacità di mettere insieme i dati per non considerarli soltanto un nugolo di numeri, ma indicatori preziosi per il raggiungimento del nostro obiettivo, e cioè arrivare al pubblico che ci interessa, nel tempo che riteniamo congruo, con la meta che ci siamo prefissi (migliorare la reputazione, stimolare il dibattito, spingere l’utente a comprare etc.) e, soprattutto, con il miglior rapporto costo-risultato.
Perché se è vero che non esiste un piano editoriale a budget 0, è altrettanto auspicabile che il nostro social hub non si riduca ad una slot machine in cui inserire i gettoni aspettando che esca la combinazione giusta, ma diventi un reale strumento di marketing, che ci consenta di migliorare le nostre performance.
La ricetta perfetta, ovviamente, non esiste.
Ogni social media manager, o meglio, ogni team di lavoro multidisciplinare (i tuttologi anche in questo settore possono far danni) costruisce il proprio impianto di Social Media Monitoring (SMM) con le caratteristiche che ritiene funzionali al suo progetto.
I tool di supporto, come in ogni settore che vive di digitale, non mancano: Social Mention, Google Alert, Datalytics, Talkwalker, Buzzsumo, Hootsuite sono solo alcune delle piattaforme di social media listening più utilizzate e performanti. Un prezioso oscilloscopio per monitorare la potenza del nostro segnale, da tenere sempre nella propria cassetta degli attrezzi, ma da adoperare con cura.
Ovviamente, vendere un paio di scarponi da sci o stimolare la partecipazione a un webinar di finanza alternativa, non può prevedere l’utilizzo della medesima strategia e, quindi, l’acquisizione e lo studio degli stessi indicatori per comprendere se stiamo seguendo la strada giusta.
Serve competenza, esperienza, perspicacia, intesa come capacità di “guardare dentro” i dati e, soprattutto, dinamismo. Perché molto spesso, quell’idea geniale di cui ci eravamo innamorati, può deludere le aspettative, e ciò che invece credevamo inutile, può portare risultati inattesi. Saper cambiare rotta, quando serve, è necessario.
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