Giovedi 16 aprile il commissario all’emergenza Domenico Arcuri ha firmato il contratto con i rappresentanti di Bending Spoons SpA, per fare della App sviluppata dalla software house milanese, guidata da Luca Ferrari, la App ufficiale del governo italiano per il “contact tracing digitale”.

La App, sviluppata in collaborazione con il Centro Medico Santagostino (CMS), guidato da Luca Foresti, è stata “ritenuta la più idonea per la sua capacità di contribuire tempestivamente all’azione di contrasto del virus, per la conformità al modello europeo delineato dal Consorzio PEPP-PT e per le garanzie che offre per il rispetto della privacy“. Il suo funzionamento non si basa sulla geolocalizzazione GPS, ma sulle connessioni Bluetooth circostanti sulle quali vi sarà tracciamento per le notifiche successive.

La App dovrebbe essere disponibile tra qualche settimana, probabilmente con l’avvio della fase 2 di progressivo allentamento della fase di lockdown, non appena saranno completati gli aggiustamenti tecnici e i test.

Sono bastate poche ore dall’annuncio e subito si è aperto un nuovo dibattito su social e media circa i pro e i contro dell’utilizzo di tale tecnologia, e sul possibile pericolo di limitazione della libertà individuale e della privacy che l’utilizzo di tale App da parte della popolazione comporterebbe.

Cerchiamo allora di dare qualche informazione sulla società Bending Spoons S.p.A., sui termini del contratto stipulato, sulla app e sulle sue funzionalità.

La Bending Spoons SpA è una startup nata in Danimarca nel 2013 e trasferitasi in Italia nel 2014, dall’idea di 5 trentenni – 4 italiani e un polacco – tutti con due lauree. L’azienda, che ha sede a Milano, impiega circa 150 dipendenti (molti dei quali ex-Mckinsey, Facebook e Google) con età media di 28 anni, e sviluppa App da milioni di download, figurando tra le prime dieci aziende al mondo per download di app a stretto contatto con colossi internazionali. Il nome Bending Spoons (“piegare cucchiai”) è un omaggio al film Matrix e all’idea di poter cambiare il mondo, rendendo flessibile quello che appare rigido e non modificabile. Nel luglio del 2019 entrano nel capitale, con una partecipazione totale del 9%, H14 (veicolo di Barbara, Eleonora e Luigi Berlusconi), Nio Capital (colosso di Hong Kong) e Star-Tip (specializzata in startup). Nel 2019 ha conquistato 3 classifiche Great Place to Work come miglior ambiente di lavoro in Italia per le donne, i Millennial e per le aziende di medie dimensioni.

Il codice sorgente della App, che si chiama Immuni – anche se il nome potrebbe cambiare – è stato concesso in licenza d’uso aperta, gratuita e perpetua dalla Bending Spoons, che si è resa disponibile, sempre a titolo gratuito, a realizzare le attività relative al completamento di tutti gli sviluppi informatici che si renderanno necessari per consentire la messa in esercizio del sistema nazionale di contact tracing digitale.

Resta, invece, ancora da definire chi gestirà, assieme a Bending Spoons, la App dal lato della Pubblica Amministrazione. Probabilmente sarà individuata una società pubblica che faccia da partner a Bending Spoons all’interno della PA e che faciliti l’interfaccia con i sistemi tecnologici dello stato.

La App Immuni si potrà scaricare liberamente, non ci sarà nessun obbligo per il cittadino, anche se, secondo gli esperti, è necessario che sia scaricata e utilizzata da almeno il 60% degli italiani (circa 36 milioni di persone) per risultare effettivamente utile. Numeri questi certamente non trascurabili che potrebbero mettere alla prova chi si dovrà occupare della gestione del sistema.

La App è composta da due parti. La prima, la più importante, è un sistema di tracciamento dei contatti che sfrutta la tecnologia Bluetooth, in modo da rilevare la vicinanza tra due smartphone nell’ordine di un metro. In questo modo, la app conserva sul dispositivo di ciascun cittadino una lista di codici identificativi anonimi di tutti gli altri dispositivi ai quali è stata vicino entro un certo periodo. Quando un cittadino viene sottoposto al test per il coronavirus, un operatore sanitario, in possesso di una app differente, genererà un codice da dare al cittadino. Con questo codice, il cittadino potrà caricare su un server i dati raccolti dalla sua app, compresa la lista anonima delle persone a cui è stato vicino. Il caricamento avverrà su cloud, in maniera protetta. A quel punto, il server cloud calcola per ogni identificativo il rischio di esposizione al coronavirus sulla base di criteri come la vicinanza fisica e la durata temporale del contatto generando una lista degli utenti più a rischio, ai quali è possibile inviare una notifica sullo smartphone. Il contenuto della notifica, deciso dalle autorità sanitarie, potrebbe chiedere all’utente di autoisolarsi o di contattare i numeri appositi per l’emergenza. Non è prevista, quindi, una forma di tracciamento tramite gps, anche se implementarla dovrebbe essere un’operazione tecnicamente facile se, in futuro, le autorità sanitarie lo richiedessero.

La seconda funzione della app Immuni, invece, è un diario clinico, nel quale a ciascun utente verranno chieste alcune informazioni (età, sesso, presenza di malattie pregresse, assunzione di farmaci, ecc.), che dovrebbe essere aggiornato periodicamente, dallo stesso utente, con eventuali sintomi e novità sullo stato di salute. Il diario clinico rimarrà privato, ma potrebbe essere utile agli utenti per tenere sotto controllo l’evolversi del loro stato di salute e per agire più prontamente in caso di sviluppo di sintomi.

Ovviamente, affinché una app di tracciamento dei contatti sia efficace ed efficiente è necessario avere un sistema di test capillare, che in questo momento manca all’Italia, e un sistema sanitario nazionale strutturato per intervenire in maniera tempestiva ed adeguata in caso di positività, nonché una appropriata conoscenza ed utilizzo della soluzione tecnologica da parte degli operatori sanitari.

Bene, detto ciò torniamo al dibattito che si è aperto su social e media circa i pro e i contro dell’utilizzo di tale tecnologia, e sul possibile pericolo di limitazione della libertà individuale e della privacy che l’utilizzo di tale App da parte della popolazione comporterebbe.

Premesso che, personalmente, sono favorevole all’utilizzo della tecnologia e quindi all’utilizzo di questa App (anche perché, come già detto, se non utilizzata da almeno il 60% della popolazione perde di efficacia), non mi sento di dare risposte certe ma vorrei dare, di seguito, solo qualche spunto per alcune riflessioni personali.

  • Come già evidenziato in precedenza, la App e le modalità di adozione della stessa rispondono ai principi indicati dalla Commissione Ue per lo sviluppo e l’adozione delle App per il tracciamento e a quanto dichiarato da Antonello Soro, Presidente dell’Autorità garante per la privacy: “I principi indicati dalla Commissione Europea sono perfettamente in linea con le indicazioni contenute nel parere – di cui è stato relatore il Garante italiano – reso dall’Edpb. La Commissione, in particolare, indica come preferibili app basate sulla volontaria adesione del singolo e su sistemi di prossimità, come il bluetooth, in quanto maggiormente selettivi e, dunque, di minore impatto sulla privacy”.

Da qui la scelta della tecnologia bluetooth che è stata individuata (seppur presentando comunque alcune problematiche in parte risolvibili con alcuni accorgimenti) di minor impatto sulla privacy.

  • Se il nostro timore è quello di essere “tracciati” riflettiamo sul fatto che, nella maggior parte dei casi, siamo già “tracciati”, come evidenzia anche l’amico Alfredo Ranger Cozzino, da: Facebook; Whatsapp; tutte le applicazioni instant/messaging; Google; Apple; Amazon; Ebay; tutti i produttori di telefonini se non si disabilita il software per rintracciare il telefono smarrito; tutti gli antivirus che hanno la funzione trova il mio telefono; tutti i profili aziendali attivati sul telefono personale (oltre che su quello aziendale dove spesso sono attivati per policy).
  • L’utilizzo di sistemi di “contact tracing digitale” sono risultati una strategia vincente, già a partire dalla fase 1 per il contenimento dell’epidemia, in molti altri Paesi come, ad esempio: la Corea del Sud che, però, ha adottato un sistema molto “invasivo” e poco rispettoso della privacy per tracciare ogni movimento effettuato dai positivi al virus analizzando i dati del GPS, degli smartphone, i pagamenti con le carte di credito e le immagini delle telecamere di sorveglianza; o Singapore che, invece, ha adottato un modello meno “invasivo” e più rispettoso della privacy basato su tecnologia bluetooth, con dati salvati solo a livello locale e protetti da crittografia ed inviati al governo esclusivamente in caso di positività al virus per mappare gli ultimi spostamenti e permettere il contatto tempestivo di possibili altri contagiati.

Oramai, dopo i Paesi asiatici che sono stati i pionieri nell’utilizzo della sorveglianza digitale per contenere l’epidemia, il contact tracing è uno strumento ampiamente sdoganato anche nei Paesi democratici occidentali (Stati Uniti, Inghilterra, Spagna, ecc.).

  • L’alternativa all’utilizzo di tali tecnologie è quella adottata nella fase 1 da gran parte dei Paesi occidentali, incluso l’Italia. Quella del distanziamento sociale e del lockdown. Ma tenere un Paese da 60 milioni di abitanti, come l’Italia, in lockdown permanente non è di sicuro una strada percorribile. È la morte del Paese, dell’economia e una condanna all’indigenza per gran parte della popolazione. L’unica alternativa sarebbe quella di avere un monitoraggio costante del fenomeno per contenere il contagio con quarantene mirate e cure tempestive in un Paese che continua a lavorare e produrre.
  • Infine, come ultima considerazione e spunto di riflessione, mi pongo e vi pongo questa domanda: se è vero che “la propria libertà finisce dove comincia quella degli altri”, è giusto che un singolo corra il rischio (sottolineo rischio e non certezza) di perdere un “pezzettino” della propria “privacy” in nome dell’interesse collettivo, della propria comunità e del sistema Paese?

A voi la risposta.

 

Di Edoardo Gisolfi

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