Smart working e diritto alla disconnessione, riferimenti normativi e prospettive

Pietro Montella

Recentemente ho scritto diversi articoli, ponendo l’attenzione sul fatto che durante questa emergenza sanitaria le aziende hanno incrementato per necessità l’utilizzo di forme di lavoro a distanza ed evidenziando le profonde differenze tra il telelavoro e il lavoro agile o smart working, che necessita di programmazione e implementazione di strumenti e procedure nonché di una crescita culturale in primis da parte del management e in secondo luogo dei dipendenti.

Tanto premesso e in considerazione del fatto che nel prossimo futuro il ricorso a forme di lavoro agile sarà sempre più frequente, è opportuno che si ponga l’attenzione anche su alcune criticità dello smart working. Mi riferisco, in particolare, alla necessità di assicurare il diritto alla disconnessione, che può essere definito come il diritto per il lavoratore di non essere costantemente reperibile e di non consultare gli strumenti di comunicazione per ragioni connesse allo svolgimento della prestazione lavorativa durante il periodo di riposo. Ricevere le notifiche delle email sullo smartphone mentre stiamo seduti sulla poltrona a leggere un buon libro ci porta a interrompere la nostra pausa per rispondere all’email e ripiombare in un attimo a lavoro senza nemmeno essercene resi conto.

Chi in questo periodo sta lavorando in “smart working”, nel senso più ampio del termine, è costretto a fronteggiare rilevanti problematiche soggettive, quali la difficoltà di conciliare esigenze personali e lavorative, sensazione di essere sempre connessi e senso di isolamento dall’organizzazione lavorativa soprattutto per chi era abituato a lavorare in team.

A ciò si aggiunga che il costante ed eccessivo aumento dei ritmi lavorativi, che verosimilmente e concretamente può derivare da un abuso dello smart-working, può provocare l’insorgenza di patologie da stress da lavoro correlato, quale ad esempio la sindrome di Burnout che comporta la compromissione della salute psicofisica e della sfera relazionale dell’individuo.

In tale ambito, per assicurare una tutela adeguata a tali interessi di primaria rilevanza, occorre prendere in considerazione i rischi specifici intimamente connessi al crescente utilizzo di strumenti e tecnologie che hanno in qualche modo affievolito i confini tra la vita privata e quella lavorativa. Va comunque chiarito che, seppur il diritto alla disconnessione trovi il suo ambito di elezione nel lavoro agile, lo stesso deve essere garantito nell’ambito di tutti i rapporti lavorativi, considerata l’incidenza delle nuove tecnologie.

Allo stato attuale, l’unico riferimento normativo dell’ordinamento italiano che prende in considerazione, in qualche modo, il diritto alla disconnessione  consta nell’art. 19 comma 1 della Legge 81/2017, rubricata “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, ove si statuisce che “l’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.”

A ben vedere però il predetto articolo rimette sostanzialmente all’accordo individuale tra il datore di lavoro e il lavoratore la determinazione delle modalità del concreto esercizio di tale diritto rendendo impossibile un’uniformità di trattamento. E nell’attuale contesto di emergenza, durante il quale sono state semplificate le modalità di implementazione del lavoro agile per aziende private e pubblica amministrazione attraverso l’eliminazione del requisito dell’accordo individuale previsto dall’art. 19 della l. 81 del 2017, è innegabile che in qualche modo senza l’intervento di un imprenditore accorto e lungimirante manchi totalmente la previsione del diritto del lavoratore a disconnettersi ovvero a godere di tempi di riposo congrui.

Rammento, infatti, che il DPCM del 4 marzo all’art 1 lett. n) ha disposto che “la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”. Tale articolo del DPCM, in un’ottica sistematica alla luce delle norme costituzionali e di quelle sovranazionali che tutelano i diritti del lavoratore, dovrebbe interpretarsi come eliminazione di un adempimento per velocizzare, vista l’emergenza e le difficoltà di natura burocratica, il passaggio al lavoro agile in cui comunque devono essere garantiti i diritti costituzionali. Pertanto, in ogni caso il datore di lavoro sarà tenuto al rispetto di tale diritto anche in assenza di accordo individuale, atteso che il diritto alla disconnessione, come detto, costituisce un precipitato del diritto alla salute del lavoratore nonché alla tutela della propria sfera privata.

Sicuramente questo è un tema che merita approfondimento e del quale nei prossimi mesi si discuterà ampiamente ma vorrei concludere questo articolo con una domanda provocatoria.

Ma noi siamo in grado di garantire a noi stessi il diritto alla disconnessione?

Di Pietro Montella, avvocato studio Montella Law