Smart Working è rivoluzione culturale solo con una nuova ingegnerizzazione dei processi e dell’approccio al lavoro

Edoardo Gisolfi

In questi giorni, le potenzialità messe a disposizione dall’ICT (rete Internet, piattaforme per il lavoro collaborativo e videoconferenze, ecc.) hanno consentito la comunicazione tra gruppi di lavoro (colleghi e figure esterne all’organizzazione) che, pur risultando più “fluida” all’interno della propria organizzazione e con i clienti più strutturati è, purtroppo, alquanto deficitaria con alcuni strutture, in particolare Enti e PA. Bisogna però fare attenzione. Non bisogna confondere il “lavoro da casa” con eventuale utilizzo di connettività e strumenti digitali (quello è home working o remote working) con lo smart working.

Lo smart working è qualcosa di più complesso e non facilmente definibile. Lo smart working è un nuovo approccio al nostro modo di lavorare e collaborare all’interno di un’organizzazione in cui alla base ci sono tre elementi chiave: la revisione della leadership e del rapporto tra manager e dipendente (da controllo a fiducia); il ricorso a tecnologie collaborative in sostituzione ai sistemi di comunicazione rigidi; la riorganizzazione del layout e degli spazi di lavoro. Questo approccio pone al centro dell’organizzazione la persona. Ciascun membro di un team deve essere pienamente consapevole dei risultati da raggiungere, cosciente del lavoro in team e autonomo nel definire le modalità e le tempistiche di svolgimento delle attività.

Se non vogliamo limitare il discorso al solo utilizzo degli strumenti digitali e, invece, vogliamo allargarlo al concetto più ampio di smart working, di sicuro si può parlare di una vera e propria rivoluzione. Con lo smart working, infatti, bisogna ripensare all’intera organizzazione aziendale e avviare un processo di cambiamento finalizzato a valorizzare il singolo e aumentare il suo commitment nel raggiungimento degli obiettivi aziendali garantendo, al contempo, le condizioni giuste per coniugare vita professionale e vita personale (work/life balance). Inoltre, per attuare a pieno lo smart working è indispensabile che la PA e le aziende (anche le PMI, non solo le grandi) attuino un vero processo di ingegnerizzazione e digitalizzazione dei processi aziendali (ovviamente a norma e tenendo conto di tutti gli aspetti legati alla sicurezza e alla privacy, GDPR, ecc.). In assenza di tale “rivoluzione culturale” (il problema non è la tecnologia – di strumenti ne esistono in abbondanza- ma l’organizzazione e ingegnerizzazione dei processi e dell’approccio al lavoro), non si può parlare di una vera rivoluzione ma solo di una maggiore conoscenza ed utilizzo di alcuni strumenti (piattaforme, ecc.), utili a poter comunicare in maniera digitale. Basti pensare, ad esempio, anche a ciò che sta avvenendo nel mondo della scuola, dove centinaia di miglia di docenti (molti dei quali anche non adeguatamente formati ed attrezzati) si sono ritrovati di colpo a dover utilizzare strumenti digitali per riuscire a garantire un servizio, un contatto umano e un supporto ai propri alunni, a milioni di studenti. Bene, questi docenti con grandissimo sforzo e passione stanno utilizzando (e sperimentando) strumenti digitali ma, purtroppo, ancora legati a una visione “classica” della lezione, mentre la Didattica a Distanza (DaD) richiederebbe anche la sperimentazione e adozione di nuovi modelli e metodologie per la costruzione dei saperi (es: “ingegneri della conoscenza). Fermo restando, comunque, che il rapporto interpersonale ed emotivo sia tra docente e alunno sia negli altri rapporti lavorativi resta comunque insostituibile. L’uomo è un “animale sociale” e ha bisogno del confronto e del contatto diretto per poter crescere come persona, come individuo.

Di sicuro, comunque, questo momento di emergenza di “crisi” (intesa non nell’accezione meramente negativa ma nel senso più ampio del termine, come momento di riflessione, di valutazione, di discernimento) che stiamo vivendo in questi giorni può trasformarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, per una rinascita, per un cambiamento. Credo, dunque, che molte aziende, Enti e organizzazioni cercheranno di introdurre (seppur parzialmente), per quanto possibile, modalità di lavoro in smartworking. Come evidenziato in precedenza, però, ciò presuppone una “rivoluzione culturale”; per avviare un verso processo di smartworking non bisognerà solo limitarsi all’adozione di tecnologie e strumenti (piattaforme software, ecc.) ma bisognerà puntare all’adozione di “nuovi modelli” basati su una riorganizzazione ed ingegnerizzazione dei processi aziendali, sulla formazione del personale e soprattutto sulla valorizzazione delle risorse uomo che si troveranno ad avere un commitment diverso. Ovviamente tutto ciò, specialmente per la PA, dovrà essere supportato e regolamentato da un adeguato contesto normativo. Inoltre, poiché una tale “rivoluzione” richiede anche investimenti economici sarebbe opportuno, specialmente in questo momento di difficoltà economica, prevedere da parte delle istituzioni degli aiuti per le PMI che intendono intraprendere tale percorso.

Di Edoardo Gisolfi